20 luglio 2006

L'idiozia di urbanisti e comuni

L'immensa idiozia degli urbanisti e dei comuni degli anni 50 e 60. di Pietro Citati
Dopo più di un secolo, comprendiamo quale ampiezza di sguardo avessero gli urbanisti della fine del secolo scorso. Il loro ideale era lo spazio, la ragione, il progresso, la luce; e a questo ideale sacrificarono "le pieghe sinuose delle vecchie capitali", abbattendo tuguri e capolavori d'arte, chiese e palazzi, costruendo le grandi arterie che dovevano portare gli uomini nel radioso futuro. Ma in fondo all'anima, sapevano di aver commesso un delitto verso il passato.

Così, come a sanare le ferite che avevano inferto, introdussero nelle città la Natura, che fino allora ne era stata lontana. Costruirono vasti giardini nel cuore delle città, imitando gli architetti del Rinascimento e del Barocco. Aprirono viali, dove file ininterrotte di platani, di olmi e di ippocastani proteggevano d'ombra il passo dei viandanti. Sebbene prigioniera, protetta da mille cautele, la Natura viveva così nel cuore delle città moderne d'Europa. (...) Nessuno - nemmeno Proust - ha mai raccontato quale vita intensa e formicolante si svolgesse sotto la protezione materna dei platani e degli ippocastani.

Poi, circa quarant'anni fa, questa vita intensa finì violentemente. Non fu la guerra a ucciderla: ma l'immensa idiozia degli urbanisti e dei comuni degli anni 50 e 60, i peggiori che abbiamo mai conosciuto. L'Europa elevò un monumento alla divinità-automobile, coltivata in tutti i modi e in tutte le forme. Le automobili dovevano parcheggiare: ad ogni costo e in ogni luogo. Se avessero avuto appena un'ombra di immaginazione, gli urbanisti e i comuni avrebbero costruito parcheggi sotterranei. Fu scelta, invece, la strada più facile e dolorosa.

Tutti i viali di terra - dove tanti giochi si erano svolti, dove tanti viandanti avevano passeggiato - vennero ricoperti di asfalto. I bambini furono cacciati. Le automobili presero il loro posto. E gli alberi vennero circondati di bitume. Le foglie delle piante imprigionate ingiallirono, i rami arrestarono la loro crescita, i tronchi si irrigidirono: molti alberi morirono, sacrificati alle macchine. Oggi nuovi pericoli minacciano gli alberi: epidemie, davanti alle quali le antiche pestilenze che colpivano gli uomini sembrano quasi meno dolorose!

13 Comments:

At 03 agosto, 2006, Anonymous Anonimo said...

Il verde attuale a Milano è a macchia di leopardo, molto frammentato: la Giunta attuale sostiene che è passato da 7,6 mq/abit.degli anni '90 agli attuali 13,5 mq/abit, ma conteggia aiuole spartitraffico, parcheggi, verde cimiteriale, verde scolastico, aree sportive (palestre, piscine..). Attualmente, da dati in ns.possesso, i mq. per abitante sono circa 9, inferiore allo standard di legge regionale.
Occorre attuare invece una strategia che aumenti il verde, convertendo a verde le aree dismesse che ancora rimangono, quelle private vincolate dal PRG e le aree di proprietà del Comune o di enti pubblici. E non come avvenuto sinora con la realizzazione all’interno di aree dismesse di solo verde condominiale. Un esempio di verde riconquistato alla città e al quartiere è quello portato avanti in questi ultimi anni dai comitati per il parco Baravalle, oggetto di speculazione respinta.
Da est ad ovest del sud Milano e per non ripetere quanto accaduto nella parte nord densamente urbanizzata, si potrebbe realizzare un “green belt” , una cintura verde, mediante l’utilizzo delle aree verdi pubbliche, quelle vincolate dal PRG, e il pieno utilizzo delle aree agricole private mantenendo le attività agricole esistenti - all'interno del Parco Agricolo Sud - con collegamenti e percorsi ciclopedonali. Sulle aree non interessate dall’agricoltura andrà attuato un piano di riforestazione. L’estensione del Parco Agricolo Sud – unico esempio in Europa - è pari ad un quinto dell’area milanese e di fatto almeno sulla carta, già costituisce una fascia ambientale di cintura metropolitana.
Tutto ciò è indispensabile in quanto risorsa ambientale che abbatte gli inquinanti, valorizza e fa fruire un vasto patrimonio che la natura mette a disposizione.
E’ importante che si avviino progetti in questo senso perché già si sta assistendo ad un attacco portato avanti dalle immobiliari e dai potentati economici che vedono nel Parco Agricolo Sud e nelle poche aree verdi rimaste a Milano una risorsa da sfruttare con nuove colate di cemento.
Così leggiamo di progetti relativi al nuovo cimitero privato da realizzarsi vicino l’autostrada dei Fiori ed il Forum d’Assago, del nuovo termovalorizzatore di Rozzano, dell’abbattimento di cascine per far posto a nuova edilizia privata di lusso, alla nuova viabilità come la prevista Strada Parco da Buccinasco ad Assago, alla città della Scienza di via Ripamonti, tutti insediamenti previsti nel Parco Sud su aree in parte già agricole, che andranno ripensati dalla nuova amministrazione di concerto con la Provincia.
Riteniamo invece che l’agricoltura in città sia da mantenere, tutelare ed incentivare, bloccando le mire speculative e le disdette agli agricoltori in atto.
Nonostante la presenza di molti elementi di limitazione e di disturbo, è possibile affermare che il paesaggio delle aree del sud della città sono ancora oggi in grado di esprimere una risorsa ed una propria identità territoriale fatta di spazi costruiti, spazi aperti, ambiti agrari con caratteri propri e leggibili.

È indubbio che il Parco Agricolo sud Milano, penetrando in profondità negli spazi ancora liberi del sistema città, ha finora in parte condizionato ulteriori aggressioni incontrollate degli spazi liberi: i Piani di cintura urbana, attualmente allo studio del Comune di Milano, dei comuni dell’hinterland e della Provincia, nella porzione più interna e più delicata del territorio, devono avere l’obbiettivo di renderne stabili gli assetti paesistici e territoriali. Ciò è possibile tenendo conto di due elementi fondanti:
- la valorizzazione dell’identità complessiva del territorio, così come si è formata,
conservata e modificata nel corso della storia e così come è percepita (più o meno
coscientemente) dalla popolazione
- la ricerca e il potenziamento degli elementi di integrazione, paesistica e strutturale,
con i margini urbani e con gli spazi agrari di contesto.
L’utilizzo dei terreni agricoli dismessi devono quindi essere funzionali, secondo noi, solo per scopi di pubblica utilità, come ospedali, centri di ricerca, case popolari, case per studenti.ecc. Lo stesso dicasi per il patrimonio agricolo esistente all’interno del Parco Sud come le cascine, la riscoperta dei fontanili, rogge, canali, che devono avere un’attenzione particolare che li riporti al loro antico splendore ed utilizzo e dove possibile – nel caso delle cascine- ad un riutilizzo anche sociale.
La Rete inoltre propone il ripristino dei vecchi parametri che attribuivano ad ogni cittadino una percentuale di mq d’aree verdi, intese come produttrici di vita, punti d’aggregazione sociale e di servizio alla persona, e la messa a dimora di un albero x ogni nuovo nato.
Si propone inoltre l’aumento delle aree a verde destinate a diventare parchi urbani con la conservazione delle aree centrali, semicentrali e dei parchi periferici sottraendole alle spinte speculatrici che ne vogliono la trasformazione in aree edificabili, favorendo le aree verdi di prossimità e le aree verdi protette.
La conservazione delle aree a verde esistenti deve essere prioritaria rispetto al loro aumento in quanto le loro alberature sono in genere molto più vecchie rispetto a quelle che verrebbero piantate.
Esempi come quelli recentemente avvenuti dell’abbattimento del Bosco di Gioia- per far posto alla palazzo della Regione -e la disdetta dell’agricoltore della Cascina Campazzo all’interno del Parco Ticinello non devono più ripetersi. Per quest’ultima problematica il futuro sindaco deve impegnarsi ad espropriare la cascina acquisendola al patrimonio pubblico e rilanciare il progetto del Parco Ticinello, anche alla luce dell’ultima sentenza che dà torto a Ligresti per le aree da acquisire per il nuovo parco.
Deve essere inoltre impedita la costruzione di parcheggi interrati in aree già destinate a verde alberato trovando localizzazioni alternative o sostituendoli con parcheggi meccanizzati, più compatti, meno inquinanti e più sicuri in aree non alberate.
Va reso obbligatorio il monitoraggio dello stato vegetativo delle alberature esistenti e la loro cura preventiva.
Vanno controllati gli abbattimenti di alberi da parte dei privati nei loro terreni tramite la ricostituzione dell’Ufficio Verde Privato, esistente fino al 1999 e l’obbligo di avere il suo parere prima di eliminare una pianta.
Vanno favoriti i “tetti verdi” e la messa a dimora di alberi nella strade cittadine, secondo la legge di un nuovo albero per ogni nuovo nato.
Questo è quanto proponiamo e chiediamo al candidato sindaco di Milano.
Una serie di impegni precisi che vanno nella direzione di una città più vivibile, meno inquinata e a misura d’uomo, che rispetta le fasce più deboli, anziani e bambini.
Angelo Valdameri

 
At 03 agosto, 2006, Anonymous Anonimo said...

ASTI_ La presenza di parchi, giardini, viali e piazze alberate o comunque di aree dotate di arredo verde consente di migliorare decisamente il paesaggio urbano e rendere più gradevole la fruizione della città, garantendo nel contempo molti benefici ai suoi abitanti: freno alle polveri e ai rumori, ospitalità per gli uccelli e altra fauna minore, frescura estiva.
Il verde è, tuttavia, una componente viva e dinamica che ha esigenze specifiche in termini di spazi e tempi di crescita e risente non poco delle modificazioni dei parametri ambientali, soprattutto in relazione all’immissione nell’aria e nel suolo di agenti inquinanti diversi. In questo quadro composito ricco di criticità, ma anche di nuove opportunità per la gestione del verde, grande interesse riveste l’esame critico della complessa problematica riguardante gli abbattimenti degli alberi in ambito urbano, oggetto di ampia discussione anche sulla stampa locale astigiana.
Le trasformazioni della città, soprattutto quelle riguardanti l’adeguamento e modernizzazione della viabilità, comportano frequentemente interventi anche a carico delle piante ivi presenti. Ciò può tradursi nell’eliminazione o, in casi più sporadici, nel trapianto degli esemplari arborei. Con specifico riferimento alla città di Asti, un serrato dibattito si è aperto sull’ipotesi di risistemazione di piazza Alfieri secondo l’impostazione originaria, priva di alberi, in considerazione anche delle esigenze della corsa del Palio. Accanto alle difficoltà tecniche intrinseche nell’opera di trapianto di esemplari particolarmente vetusti e ai cospicui impegni finanziari necessari per interventi di questo tipo, considerando anche il reticolo di tubazioni, cavi e altro disseminati nel sottosuolo, s’impongono nella riflessione anche valutazioni di ordine più specificatamente metodologico. Un utile riferimento, al riguardo, è rappresentato dalla Carta internazionale del restauro del verde storico, detta Carta di Firenze, che prevede per i parchi e giardini storici un’estrema cautela negli interventi, a vario titolo, di ripristino.
Anche il verde di una realtà urbana di consolidato valore storico, quale piazza Alfieri ad Asti, può essere interpretato senza eccessive forzature in questa prospettiva. In ogni caso un’opera integrale di ripristino di Piazza Alfieri, appare non praticabile, in quanto, come ricordato giustamente dall’arch. Mazzarolli, l’impronta generale è stata ampiamente modificata da nuove costruzioni, come il palazzo della Provincia, o rifacimenti di quelle esistenti con aggiunta di abbaini o vetrine in stile moderno sporgenti sul marciapiede.
Con riferimento, inoltre, agli interventi a carico della vegetazione per la realizzazioni di nuove rotatorie stradali e di lavori di risistemazione di piazze e pubbliche vie, merita sottolineare come queste opere, pur avendo ovviamente come intrinseca finalità l’interesse pubblico, non possono trascurare od eludere l’altro importante interesse collettivo, riguardante la disponibilità di verde da parte della cittadinanza, di fatto compromesso dall’abbattimento degli alberi. Considerato il danno e anche il trauma psicologico che l’abbattimento di alberi può comportare alla popolazione, appare ragionevole ipotizzare una norma conservativa di carattere generale che preveda per ogni albero sacrificato alla modernizzazione del sistema urbano che almeno altri 50 - o meglio ancora altri 100 - vengano messi a dimora in aree preferibilmente all’interno della città stessa o nella sua immediata periferia. Le possibilità di intervento nell’ambiente urbano sono innumerevoli.
La stessa città di Asti dispone di molte aree a parcheggio prive di copertura arborea. Si tratta di spazi che potrebbero consentire la messa a dimora di centinaia di nuovi alberi a tutto vantaggio della qualità estetica ed ecologica dell’ambiente urbano e della fruibilità e piacevolezza delle stesse da parte degli automobilisti. Nel caso di piantamenti nella cintura periferica non si tratterebbe necessariamente di realizzare nuovi parchi, nell’accezione classica di questo termine, bensì di pensare ad una sorta forestazione urbana. Questi anelli verdi potrebbero essere realizzati su suolo pubblico, utilizzando ad esempio le aree dei vari svincoli stradali, oppure su terreni di privati sensibili a queste tematiche. Interventi di questo tipo, se adeguatamente divulgati, potrebbero sicuramente trovare un ampio coinvolgimento della popolazione e delle associazioni ambientaliste, del mondo scolastico (qualcuno ricorda la legge relativa a un albero da piantare per ogni bambino nato?), nell’ottica di valorizzare al meglio il patrimonio di verde collettivo.
E, in questa prospettiva, quali alberi utilizzare? Appare interessante sottolineare la grande risorsa disponibile, in termini di rusticità, ma anche di decoratività, rappresentata da molti alberi tipici della flora autoctona astigiana come, tra gli altri, il carpino bianco (Carpinus betulus) o l’acero campestre (Acer campestre), che avrebbero la possibilità di trovare un valido impiego, anche conformati a siepe, tanto nella riqualificazione degli spazi urbani, come ad esempio anche la piazza antistante la stazione ferroviaria, tanto negli interventi di sistemazione delle aree più periferiche, in quanto efficace elemento di raccordo con il territorio agricolo.
La via della compensazione, così ipotizzata, potrebbe certamente rappresentare un contributo concreto e di agevole applicazione nella prospettiva di compendiare le molteplici esigenze presenti nella società attuale, da avviarsi, auspicabilmente, anche già nei mesi prossimi, favorevoli alla messa a dimora dei nuovi alberi. Non ultimo, ma prioritario, è però il delicato tema di come far crescere le piante, anche in conseguenza dei marcati cambiamenti climatici degli ultimi anni, caratterizzati non solo da anomali andamenti termici, ma anche da prolungati periodi siccitosi. Tale situazione ha reso decisamente più difficoltoso l’attecchimento e la crescita delle nuove piante messe a dimora nella generalità delle aree urbane del nostro Paese, tanto da consigliare l’urgente messa a punto di nuove strategie gestionali per poter far fronte a questa emergenza. Spesso infatti si vedono alberelli messi a dimora nell’inverno, stecchiti dopo pochi mesi per una manutenzione non continuativa, mentre altri sono scortecciati per i numerosi urti di autoveicoli dai quali non sono protetti con adeguata incastellatura di tutori in legno.
Tutti i buoni propositi di reimpianto devono essere supportati da un meccanismo efficiente, altrimenti è meglio conservare in piedi i vecchi alberi esistenti con la massima cura, pensandoci molto bene prima di decidere abbattimenti per motivi più o meno validi.

 
At 04 agosto, 2006, Anonymous Anonimo said...

Ma di quali urbanisti, di quali politici stiamo parlando!!!
Ormai esiste solo il DIO-DENARO!!!
Mezza Italia ogni anno viene data alle fiamme e quel pò di verde che è rimasto viene trasformato in cenere... in cemento ...in speculazione edilizia!!!
Siete mai passati per Malafede sulla via Cristoforo Colombo per andare al mare???
Bè lì.... è sorto come un fungo ...un orribile LAGHER!!!!

 
At 04 agosto, 2006, Anonymous Anonimo said...

Chiunque si avvicini al problema ambiente sembra che faccia finta che "sono loro, gli altri" a causare i disastri.
Ma ci rendiamo conto che siamo noi cittadini delle democrazie occidentali (ancora ce ne sono) ad esserne responsabili?
Cosa serve imprecare contro il degrado senza fine se ogni volta che andiamo a votare ci diamo la zappa sui piedi?
Vogliamo renderci conto che votare per x partiti e' il primo crimine contro il ns. mondo?
Chi ha eletto quei "Signori" che una volta in carica conoscono solo "denaro e progresso ad ogni costo"? Senza alcun riguardo ai costi ambientali ed alle condizioni di vita dei ns. figli e nipoti?
O i popoli si svegliano e la smettono di "delegare" ad una miriade di sfruttatori il ns. destino oppure devono lasciare fin da subito ogni speranza.

 
At 04 agosto, 2006, Anonymous Anonimo said...

Da milanese-milanesissimo che ha appena ritraslocato nel suo quartiere d'origine, IMHO Milano è un po' come il MIlan (inteso come "società"): fa abbastanza schifo, ma confrontato con le alternative sulla piazza, riguadagna punti. E' la città d'Europa con il parco abitazioni più nuovo, significa che quando un edificio sembra un po' vecchio... CRASH! Lo si butta giù e lo si fa nuovo. Questo ha prodotto scempi, in passato, e speriamo nuova bellezza, in futuro.
Per intenderci, a Berlino ritirano su i vecchi edifici massacrati dalla IIWW (alcuni hanno ancora i buchi delle pallottole in bella vista) con tecniche nuove. Da noi, si pialla tutto e si regalano nuove occasioni di business ai Ligresti e ai Zunino. E' stata proprio la Milano da bere ad ammazzare la città, che prima aveva un suo fascino "operaio" anche a livello urbanistico.
La metafora di tutto è il duomo, perennemente impacchettato, mai finito, sempre con il culo tra due sedie. Un altro paradosso tutto milanese è che Milano è una città assolutamente "acquatica", nonostante nessuno la concepisca come tale (un po' come l'Italia, che è un Paese montano ma tutti lo concepiscono con un paese di pianura, con conseguente dissesto idrogeologico e disastri dovuti a
dissennati progetti edilizi). A Milano passano tre fiumi ed innumerevoli canali. Solo che li teniamo sotto terra, in nome del progresso e a causa dell'inquinamento dell'epoca industriale. Sarebbe bello recuperare questa antica vocazione. Poi c'è un altro concetto di "bellezza", non urbanistico-architettonico, ma legato alla qualità della vita, alla socialità, ai ritmi di vita, etc etc In questo senso, abbiamo perso quanto di buono c'era nell'antico savoir-vivre all'italiana, di matrice provinciale-contadina, senza acquisire(spero solo "per ora") una nuova cultura del welfare apllicato alla qualità della vita, con idee innovative. Come nei Paesi più avanzati Tiremm'innans!
Io personalmente vedo con favore le nuove opere architettoniche, solo che ci vorrebbe anche per Milano la barcata di soldi che sono stati destinati a "Roma capitale". E ci vorrebbero anche una classe dirigente ed un'imprenditoria con vocazione Civile!!!!

 
At 04 agosto, 2006, Anonymous Anonimo said...

E' scandaloso che si continui a parlare del problema dell'anidride carbonica in eccesso che causa l'effetto serra e poi si compiono sciempi del genere. Tutti sanno che la produzione di anidride carbonica è sconsiderata in questo momento, ma è anche palese che è impossibile annullarla se pretendiamo un tenore di vita come quello che ci stiamo permettendo. Detto ciò non capisco perchè non si parli di un programma di riforestazione. Ogni volta che esco di casa e percorro strade vedo zone più o meno grandi abbandonate a se stesse dove potrebbero essere piantate delle piante. Penso che le politiche per ridurre l'immisione di anidride carbonica dovrebbero essere sviluppate parallelamente a politiche per la sua "trasformazione" per così dire ma proprio di questo si tratta.
la natura può aiutare a salvarci. Colgo l'occasione per portare all'attenzione l'esistenza di piante chiamate mangia veleni che oltre ad assimilare anidride carbonica catturano anche "veleni" come il BENZENE! Queste piante sono state scoperte e sperimentate dalla nasa però sono piante piccole per così dire ma a questo punto mi chiedo perchè non si studia per creare un bel pioppo ogm che oltre a trasformare anidride carbonica in ossigeno mi ripulisca un pochino l'aria da tutta questa sporcizia. Non sono un tifoso degli ogm ma se inventassero un pianta del genere la pianterei subito nel mio giardino.

 
At 04 agosto, 2006, Anonymous Anonimo said...

Io sono a favore delle domeniche a piedi, nel senso che ti aiutano a scoprire la città dove vivi, a conoscerne luoghi ameni che mai avresti potuto notare passandoci in auto. Se i nostri dipendenti fossero coerenti con le loro scelte, di domenica in città ci si dovrebbe muovere SEMPRE a piedi e non soltanto una volta ogni due mesi per fare finta che l'aria migliori!!!è ridicolo!come si può pensare di migliorare la qualità dell'aria bloccando il traffico FESTIVO di 6 giorni nell'arco di un anno? sono favorevole alle domeniche a piedi perchè migliorano la qualità della VITA dei cittadini, ma ahimè non miglioreranno mai quella dell'aria.
a milano si stima che ci siano ancora un'ottantina di caldaie a CARBONE! prive di ogni controllo, inquinano quanto metà tangenziale bloccata in un giorno lavorativo...per non parlare poi dei riscaldamenti centralizzati a gasolio che vanno tutto il giorno, anche quando non serve..non c'è bisogno di aspettare risposte dal futuro, basterebbe rendere termoautonomi tutti gli appartamenti, con caldaie a metano, che hanno un rendimento molto maggiore di quelle a gasolio, e incentivare l'installazione di celle fotovoltaiche per la produzione di acqua calda e correnrte elettrica nell'arco del dì. è una goccia, ma se si facesse questo SUBITO si potrebbero avere molti più benefici condensati in un solo giorno di quanto possano fare 6 domeniche senza auto nell'arco di un anno...non è fantascienza, non parlo del fantasmagorico distributore di idrogeno che c'è in bicocca (ovviamente chiuso per mancanza di auto in grado di rifornirsi di questo carburante), non parlo di fuel cells che abiamo capito che non vedremo MAI perchè non vogliono farcele vedere...basterebbe una goccia concreta, subito, ma si preferisce ancora fare finta che 6 giorni in un anno migliorino il nostro ambiente...

 
At 04 agosto, 2006, Anonymous Anonimo said...

Sono con voi , ma il resistere senza proppore idee secondo me non porta a niente , quindi consiglio di guardare al giappone , come sono riusciti a formare parcheggi lasciando spazio per giardini e isole verdi in mezzo a Tokyo.
Noi dovremmo guardare di più verso oriente come stile archittetonico ( un mix di cemento e acciaio che si fonde con la natura in maniera armonica).

 
At 04 agosto, 2006, Anonymous Anonimo said...

bravissimi,
davvero un bel lavoro, in fondo che sono qualche centinaio di alberi in una citta soffocata dalle polveri sottili.
mi domando come si può essere così idioti nel continuare a costruire in centro città, a ridosso di quartieri storici come l'isola, mi domando come c...o si fa a conciare una città come Milano in una fogna, vedere ristrutturazione piazza della scala per capire l'inettitudine degli amministratori, una piazza che sfoggia uno splendido marmo cinese di qualità pessima abbinato ad un san pitrino 20x20 rosso posato in linea, ma a Milano il porfido non è di origine austroungarica 10x10 posato a coda di pavone? e detta piazza non è il simbolo dell'asburgico costruire di quegli anni?. Non ho parole, ne di sarcasmo ne di biasimo, siamo in mano ai dei mentecatti, arroganti, sciatti, inetti.
Il bosco di gioia (ex vivaio) andava valorizzato, andava aperto al pubblico, reso fruibile a tutti come oasi di relax, ma in fondo che cosa pretendo, vivo in una città dove tutti gli spazi verdi, in nome della sicurezza vengono recintati (non era meglio renderli sicuri con la presenza di vigili urbani? ah dimenticavo, loro, i vigili, fanno multe anche ai passanti ora.) Spiacente, non sarò vostro complice, spiacente per voi, non vado via da Milano, io resto e vi faccio un c..o così! VER-GO-GNA-TE-VI!!!!!!

 
At 04 agosto, 2006, Anonymous Anonimo said...

Lasciamo perdere.... è uno scempio io abito a Sesto San giovanni e non so se qualcuno si ricorda quando concludevano il giro d'Italia arrivavano i ciclisti prima di imboccare il viale Monza a Milano attraversavano un viale alberato lunghissimo il Viale Italia di Sesto.. pieno di piante secolari..

Beh adesso son state abbattute centinaia di piante per far posto ad un centro commerciale in fondo a viela Italia.. è una tristezza da morire...
Io mi ritengo superfortunata abito in mezzo al verde nella città ho due giardini pubblici e in più dispongo di un mio giardino privato dove ho piante di caco di fico e d'estate mangio i miei pomodori..
Ma appena esco fuori dal mio rione Mi assale il panico, mi chiedo come si può vivere aprire le finestre e non vedere la stagione che fa attraverso la natura.. è tristissimo...
Perchè? perchè devono abbattere un così bel parco!!!!

 
At 04 agosto, 2006, Anonymous Anonimo said...

A Milano, da piazza duomo a piazza castello non ci sono alberi, non c'è il verde? Ma, quando mai ci sono stati? Se non nei cortili interni? Hanno disboscato Milano? E' ridicolo!Ma, cos'ha Milano per essere tanto odiata? Forse perchè si vive meglio che in qualunque altra città, Roma compresa e lo dico pur essendo romano de Roma, forse perchè quì non si parla mai male delle altre città? Perchè non si ha il bisogno, come gli scontenti della loro vita fanno,di sparlare degli altri. Cari additatori quì ce la sbrighiamo da soli e se avete voi bisogno di consigli siamo pronti gratuitamente a darvene. E' pochezza arrampicarsi sugli specchi unti.

 
At 04 agosto, 2006, Anonymous Anonimo said...

Come si fa a non capire l'importanza del verde, delle piante in una grande città che è stata strappata da centinaia di anni alla natura!?
Il rispetto, la cura, l'amore per le nostre piante, i nostri giardini dovrebbe essere in cima ad ogni cosa.
Invece....
potature scriteriate, giardini pubblici sporchi ed abbandonati, piante segate e mai più ripiantate!!!
Ma che razza di mondo stiamo costruendo?

 
At 08 agosto, 2006, Anonymous Anonimo said...

Cenni storici e attuali prospettive.

L’uso della vegetazione negli spazi urbani ha sempre avuto molteplici funzioni: simboliche, estetiche-ornamentali, produttive e di regolazione del microclima.
La funzione termoregolatrice della vegetazione, nel periodo estivo è conosciuta fin dai tempi più remoti, in tutta l’area mediterranea. L’impiego delle piante nelle abitazioni greche, romane, ispano-moresche, ecc., associato in modo opportuno ad alcune strutture architettoniche (pergole, portici, vasche, patii, viridarii), sottolinea la costante ricerca di raffrescamento estivo.
L’aspetto propriamente utilitaristico del verde compare soprattutto nel mondo romano dei primi secoli. Durante i secoli dell’impero, il verde assume maggior rilievo all’interno delle mura cittadine, ma solo come parte inscindibile di quegli elementi costruttivi che ornano i grandi giardini annessi alle ville signorili, luoghi deputati agli otia intellettuali dei proprietari, e che ricreavano l’illusione del verde del territorio agricolo.
Nel Medioevo, il verde all’interno delle mura cittadine e nei monasteri assume una funzione quasi esclusivamente produttivo-alimentare, come unica fonte di sussistenza in caso di assedio.
Dal Quattrocento in poi, viene riconsiderata la funzione microclimatica del verde come umidificatore del microclima (protezione dai venti invernali e dal caldo estivo), in particolare nel contesto delle ville suburbane.
Nei giardini delle ville del Cinquecento e del Seicento trova ampia diffusione l’uso della vegetazione come protezione dal vento, il pergolato ricoperto da vite per le passeggiate nei giorni assolati. Per il resto, il progetto dei giardini era dominato da aspetti scenografici.
Se prima le antiche città erano integrate alla campagna circostante, con i primi processi di massiccio inurbamento tale rapporto viene modificato determinando un conflitto città/campagna. All’interno di un progressivo processo di espansione urbana, il verde viene ad assumere nuovi ruoli, non più soltanto simbolici o decorativi.
Nel Settecento, in Francia si ha una prima inversione di tendenza: il verde assume importanza proprio all’interno degli agglomerati urbani. Nasce così il concetto di "giardino pubblico"; e le aree da occupare sono quelle di risulta dall’abbattimento delle mura cittadine e delle cortine murarie. Oltre alla funzione propriamente ornamentale della vegetazione, ricercata pure con l’introduzione, spesso inopportuna, di specie esotiche, viene riconosciuta anche quella igienica, legata alla salubrità dell’aria.
Il fenomeno dei grandi inurbamenti delle città ottocentesche contribuisce ulteriormente a porre il problema del verde urbano, in termini di soluzione al degrado ambientale, nonché di vivibilità.
I piani regolatori tra la fine dell’800 e l’inizio del 900 prevedono, infatti, ampi spazi da destinare verde pubblico; in seguito, in Italia, esso rimarrà per lo più superfluo e limitato all’ornato cittadino.
Nella attività urbanistica italiana, le funzioni assegnate al verde rimangono solamente quelle prescritte come standards urbanistici, con l’obbligo di un astratto rapporto tra la quantità di aree da destinare a servizi (non esclusivamente a verde pubblico) e quelle da destinare a edificazioni per insediamenti, all’interno delle zone funzionali di piano.
La crisi energetica degli anni ’70 sollecita, dapprima in USA e poi in Europa (Germania, Olanda, Gran Bretagna, ecc.), lo sviluppo di una serie di ricerche sulla conservazione e il risparmio energetico. Tali studi hanno condotto al riconoscimento dell’importante funzione microclimatica della vegetazione stimolandone un impiego "ambientale", per il comfort degli ambienti antropizzati (interni ed esterni).
Nell’ambito di una coscienza emergente e di fronte agli attuali squilibri ambientali della città contemporanea, sta prendendo corpo l’idea di una "green city", ovvero di una rinaturalizzazione della città attraverso vere e proprie iniziative di integrazione strutturale del verde con l’ambiente costruito (creazione di orti urbani ed aree boschive, di habitat per la fauna selvatica, di stagni e zone umide e di corridoi vegetali naturali ed artificiali, là dove lo spazio orizzontale non consente l’inserimento di ulteriori ed opportuni spazi verdi).
Ormai si è ben lontani dal considerare il verde come semplice fatto meramente decorativo, tanto più che esso può contribuire notevolmente a garantire una elevata qualità abitativa all’interno di una visione ecologica della città.
Si fanno strada, allora, interventi a grande scala, con la riprogettazione delle aree dismesse, fino a comprendere quelli di risistemazione e di piantumazione di spazi urbani minori (aree residuali e cortili).

 

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